mercoledì 25 gennaio 2012

Manhattan





Dice: "New York è il centro del mondo".
Forse lo era fino a qualche anno fa. Oggi, con i cinesi che, comprandosi il debito americano, praticamente si sono comprati l'America, il centro del mondo si è trasferito da qualche altra parte.
Certo, ovunque ti giri a Manhattan vedi spuntare le insegne della Bank of America, della Chase Manhattan Bank o della Citigroup, i grandi colossi della finanza globale. Ma dopo il settembre 2008, con lo shock del clamoroso fallimento della Lehman Brothers, questi giganti sembrano un po' più piccoli e anche il loro prestigio si è incrinato, quando, da icone del liberismo più sfrenato, si sono aggrappati alla tetta dello Stato per accaparrarsi quei finanziamenti pubblici senza i quali pure loro avrebbero portato i libri in tribunale.
Un esempio di come il capitalismo finanziario viva sotto assedio, anche in quella che è la sua capitale, è Wall Street. Il New York Stock Exchange è un fortino circondato da transenne che impediscono ai passanti di avvicinarsi ed è sorvegliato 24 ore su 24 da guardie armate. Evidentemente, le autorità hanno paura che succeda alla Borsa di N.Y. quello che accadde il 16 settembre del 1920, quando un carretto esplose davanti al Morgan Guaranty Trust Building, il palazzo di J.P.Morgan, uccidendo 33 persone e ferendone oltre 100. Il Morgan Building si trova al n.23 di Wall Street; allora, dell'attentato furono accusati gli anarchici (se ne parla anche nel recente film J.Edgar di Clint Eastwood). Poco lontano, un gruppo di individui male in arnese raccoglie qualche spicciolo per il movimento Occupy Wall Street, riunito nel vicino Zuccotti Park.

Camminare lungo il midtown Manhattan dà le vertigini. Si ha l'impressione di essere calati in quell'inferno caotico di acciaio e cemento descritto da Dos Passos in "Manhattan Transfer". Grattacieli altissimi si alzano verso le nuvole, a simboleggiare la potenza di chi li ha fatti erigere: il Rockfeller Center, costruito dal figlio del magnate della Standard Oil; l'Empire State Building, il Chrysler Building, tutti venuti su dopo la Prima Guerra mondiale, in quella che è passata alla storia come l'Età del Jazz, gli anni del Grande Gatsby, delle ricchezze sfacciate da esibire con queste opere faraoniche, prima che la Grande Depressione mettesse fine all'ubriacatura. L'impronta di quell'epoca rimane, del resto gli americani sono il popolo degli eccessi e il kitch di Times Square ne è l'esempio più lampante.

Man mano che si avanza verso il downtown, i palazzi si fanno meno minacciosi, l'acciaio e il cemento vengono sostituiti dalla pietra marrone, tipica di Brooklyn, e dalle facciate di ghisa di Tribeca e Soho. Siamo in una zona apparentemente più popolare. In realtà anche qui gli affitti sono altissimi e, sebbene non ci sia il lusso pacchiano della Quinta strada, è pieno di piccole boutique dai prezzi inarrivabili. Dall'altra parte della strada ci si imbatte in Little Italy, definita dalle guide una "trappola per turisti". In effetti, oggi, il quartiere è praticamente ridotto ad una via che, in settembre, durante la Festa di S.Gennaro, si riempie di bancarelle e di luminarie come in un paese del nostro meridione. Ma ormai Little Italy è stata fagocitata da Chinatown e il grosso degli italo- americani si è trasferito nel Bronx.

La parte, forse, più affascinante di Manhattan è, però, il Greenwich Village, il cui centro è Washington Square. Prima di diventare, oggi, anche questo un quartiere per ricchi, dov'è ambientata la popolare serie Sex and the City, il Village era il centro della vita intellettuale e radicale di New York. Qui in Washington Square, nel 1913, Marcel Duchamp salì in cima all'arco trionfale e proclamò la Libera Repubblica di Greenwich Village; nel salotto di Mabel Dogde passarono alcuni dei più influenti intellettuali radicali americani di inizio secolo, tra cui John Reed, autore de "I dieci giorni che sconvolsero il mondo", resoconto ufficiale della rivoluzione russa.
Oggi al Village si sono trasferite alcune delle ricchissime star hollywoodiane. Può capitare di incrociare, in Bleecker Street, la strada che taglia in due il Village da est ad ovest e che fu cantata da Paul Simon nel suo primo album "Wednesday Morning, 3 A.M.", Harrison Ford che cammina di fretta, forse ancora alla ricerca dell'Arca Perduta.

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