domenica 19 maggio 2013

Il Grande Gatsby

E' uscito in questi giorni il film "Il Grande Gatsby" di Baz Luhrmann con Leonardo di Caprio, adattamento dell'omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald. Credo sia il terzo film ispirato al romanzo, personalmente avevo visto quello di Jack Clayton con Robert Redford del 1974. Quel film avrebbe voluto girarlo Luchino Visconti, che già aveva acquistato i diritti del romanzo. Ma poi per problemi di produzione non se ne fece nulla. E, quasi come tributo al Maestro italiano, il film di Clayton è girato "alla maniera" di Visconti: sia la fotografia che il ritmo, lento, appaiono riprodurre lo stile di Visconti, sembra come di vedere "Morte a Venezia". 
Il film di Lurmann ha il pregio di essere più originale e vivace, anche se, a volte, un po' troppo gigionesco. Rende sicuramente bene l'atmosfera frenetica dell'Età del Jazz, mentre Di Caprio è, forse, il miglior Gatsby della storia del cinema. Consiglio di andarlo a vedere. Dopo averlo visto, però, chi non lo avesse ancora fatto vada a leggersi il capolavoro di Fitzgerald. Nessun film potrà mai reggere il confronto e potrà mai rendere con la stessa chiarezza il messaggio dello scrittore americano. 
Gatsby è la più riuscita rappresentazione del Sogno Americano dell'elevazione sociale a tutti i costi, anche illeciti. Gatsby, infatti, è figlio di poveri contadini del North Dakota, arricchitosi attraverso il contrabbando durante gli anni della Prima Guerra mondiale e un alone di mistero avvolge la sua leggenda nera. In sostanza è un gangster, ma è ricchissimo, le sue feste a  Long Island sono le più sfarzose e stupefacenti di New York e a nessuno importa dell'origine della sua ricchezza. 
Ma una cosa riscatta Gatsby dalla miseria umana e lo fa sembrare un gigante rispetto al mondo apatico e indifferente dei ricconi che frequentano le sue feste (a cui lui, peraltro, non partecipa): l'amore per Daisy, una ricca e bellissima ereditiera di cui si era innamorato prima di partire per la Guerra. Per elevarsi al suo livello e un giorno sposarla si è arricchito, ha trafficato nel modo più ignobile, forse <<ha ucciso un uomo>>. Solo per Lei ha costruito il suo castello nella baia di fronte alla villa dove Daisy vive col suo squallido marito, Tom Buchanan; solo nella speranza che Lei una sera possa apparire apre il suo castello ai baccanali notturni dell'alta società newyorkese. L'Amore riscatta ogni sua nefandezza e lo rende il solo personaggio positivo del romanzo. Alla fine Gatsby muore, ucciso con un colpo di pistola, per uno scambio di persona, dal marito dell'amante di Tom, e con Gatsby muore il Sogno Americano. Il romanzo si chiude con le parole di Nick, l'Io narrante: «E mentre meditavo sull'antico mondo sconosciuto, pensai allo stupore di Gatsby la prima volta che individuò la luce verde all'estremità del molo di Daisy. Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter più sfuggire. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in quella vasta oscurità dietro la città dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C'è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia ... e una bella mattina... »

domenica 5 maggio 2013

Storie dal Po

 Quando si parla del 1° maggio, come di tutte le feste civili, il rischio che si corre è quello di scivolare nella retorica di maniera. Perciò non c’è niente di meglio, per celebrare il giorno della Festa dei Lavoratori e la memoria di chi è morto per rivendicare il diritto al lavoro, che raccontare un episodio risalente a più di cent’anni fa e che è passato alla storia come “L’eccidio di Ponte Albersano”.
Albersano è una piccola località in comune di Berra, collocata fra l’argine destro del Po e il Canal Bianco, a pochi chilometri da Serravalle, dove comincia il delta. Dall’alto dell’argine si può ammirare a perdita d’occhio la distesa dei campi coltivati. Questa è terra di bonifica, di quella Grande Bonifica Ferrarese che, iniziata in epoca estense, è stata portata a termine con successo nella seconda metà dell’Ottocento, dopo che la Rivoluzione Industriale aveva portato in dote l’utilizzo delle idrovore a vapore. A realizzare quest’opera furono alcune grosse società, come la Banca di Torino, la Lodigiana e la francese Vaudoise, che divennero anche proprietarie dei terreni prosciugati. La sola Lodigiana ne possedeva, nel 1879, quasi tremila ettari. Questi imponenti lavori idraulici avevano richiamato nel basso ferrarese molta manodopera, che, una volta terminata la bonifica, andò ad ingrossare l’esercito dei lavoratori stagionali dell’agricoltura. Inoltre, l’applicazione dei criteri capitalistici nella conduzione delle terre da parte delle grandi imprese “forestiere”, aveva spazzato via il vecchio sistema Patriarcale, basato su usi antichi e su una rapporto tra padrone e colono che riproduceva, appunto, quello tra padre e figlio.
Le condizioni di miseria che si vivevano nelle campagne, la mancanza di lavoro o le paghe da fame quando questo c’era, il susseguirsi di una serie di cattive annate, portarono all’esasperazione il proletariato agricolo, che nel frattempo aveva iniziato ad associarsi in Leghe. Si trattava, per lo più, di leghe che si ispiravano alle nuove teorie socialiste, di quella particolare corrente rappresentata dal sindacalismo rivoluzionario. La prima prova sul campo di questa nuova forma di lotta si ebbe con lo sciopero del 1897, che mobilitò diverse migliaia di lavoratori stagionali, ma l’episodio di gran lunga più importante fu lo sciopero del 1901, che coinvolse circa trentamila lavoratori delle campagne, quasi la metà dell’intera popolazione contadina ferrarese. Lo sciopero era stato proclamato contro la pretesa dei proprietari delle terre (in particolare la Banca di Torino) che non volevano concedere un aumento del salario ai lavoratori nel periodo della mietitura. Per tutta risposta, i dirigenti delle grandi aziende agricole avevano reclutato un gran numero di crumiri, per lo più provenienti dal Piemonte, per portare avanti, comunque, il lavoro e avevano chiesto ed ottenuto dal prefetto di Ferrara la protezione della forza pubblica, nonostante il parere contrario di Giolitti. Uno dei fondi assegnati ai crumiri piemontesi fu la tenuta di Albersano. Quando, il 27 giugno, gli scioperanti, che picchettavano le campagne, videro i piemontesi al lavoro, cercarono di attraversare il ponte che dava sulla tenuta, forzando il blocco dell’esercito, per convincere i crumiri ad unirsi a loro. I soldati, comandati dal tenente De Benedetti, una specie di Bava Beccaris ferrarese, spararono sulla folla, uccidendo sul colpo Calisto Desuò di Villanova Marchesana e Cesira Nicchio di Berra. Altri venti lavoratori rimasero feriti. L’episodio di Albersano ebbe notevole risonanza a livello politico nazionale, in seguito alle proteste dei deputati socialisti, il che indusse gli agrari a concedere gli aumenti retributivi richiesti. Di quegli anni è anche la politica riformatrice giolittiana che va sotto il nome di Legislazione Sociale, la quale, partendo dal riconoscimento delle intollerabili condizioni dei lavoratori, rappresentò il primo, timido tentativo di dare tutela normativa al lavoro.
Come si legge sulla lapide che, oggi, sul ponte di Albersano, ricorda i due braccianti uccisi <<Qui caddero il 27 giugno 1901 Nicchio Cesira e Desuò Calisto per il miglioramento economico e sociale della bassa ferrarese>>. Forse, dopotutto, un po’ di retorica ci sta bene.