lunedì 26 dicembre 2011

Post-it

Parlando con un amico che lavora come ingegnere in Svizzera, mi viene da fare qualche considerazione in libertà sull'organizzazione del lavoro in Italia.


Ad esempio, l'amico mi diceva che, appena assunto, ha potuto cominciare a prendersi ferie, perché in Svizzera è previsto che vengano immediatamente anticipate al lavoratore, non che questi debba aspettare di maturarne un tot al mese. Mi raccontava, anche, di come l'azienda, una multinazionale di proprietà cinese che si occupa di progettazione in tutto il mondo, l'abbia sottoposto a corsi interni di lingue , con relativi test finali.


Questo non per dire che in Svizzera sia tutto rose e fiori. Soltanto di come venga diversamente considerato il lavoratore, come "capitale umano" (espressione orribile, ma tanto per intendersi...) su cui investire in prospettiva, anche senza un guadagno immediato. E, perciò, formazione continua per accrescerne la professionalità, orari di lavoro certi e non aleatori come in Italia, creazione di un ambiente di lavoro il più possibile accettabile.


Da noi la situazione è diversa. In Italia le aziende hanno sempre pensato che il modo migliore per trarre profitti fosse di ridurre il più possibile il costo del lavoro. Stipendi bassi equivale, nella generalità dei casi, a bassa professionalità della manodopera, totale disinteresse dell'azienda per la formazione dei propri dipendenti, sfruttamento del lavoro per trarne un beneficio immediato.


Non sono estranee a questo modo di pensare dei nostri "capitani di industria" le scelte di politica industriale fatte dal dopoguerra ad oggi. Si è privilegiato il fiorire disordinato di una piccola industria, magari capace di aggredire i mercati mondiali di nicchia con prodotti competitivi, ma non di indirizzare lo sviluppo economico e sociale del Paese. Si è scelto il modello del "distretto" (della calzatura, della ceramica, del mobile, ecc.), ma si è rinunciato ad essere competitivi in settori come la chimica, l'aeronautica, la tecnologia di precisione, ecc. Tutti settori ad alta intensità di conoscenza, che, in stretto contatto con il mondo della ricerca, avrebbero potuto creare posti di lavoro di alta qualità.


L'unica grande industria manifatturiera italiana è stata la Fiat, cresciuta sulla base di un modello assistenzialista da industria parastatale, con tutte le inefficienze che sappiamo. E pure la Fiat se ne sta andando.














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